What We See While We Run

What We See While We Run

domenica 17 novembre 2013

4^ Ecotrail Serra di Celano 2013

Celano è una sfida. E non solo. Celano è un’ossessione. 
L’Ecotrail Serra di Celano, nel Parco Naturale Regionale Sirente Velino, definita la più dura del Centro Italia, nell’edizione 2013 prevede 46 km e un dislivello positivo di 2700 metri con due picchi principali: il Monte Serra a 1943 metri dopo appena 7 km dalla partenza e il Monte Etra a 1818 metri al ventiquattresimo.
Un’ossessione, dicevamo, soprattutto se, non sei riuscito a portarlo a termine la prima volta o l'hai concluso sapendo di poter fare di meglio.
Il Monte Serra ci sorride dall’alto beffardo e serafico nella sua granitica magnificenza quando la guardiamo dalla partenza. “Io sono qui” sembra dirci. Ma nonostante il timore reverenziale che incute, stimola la nostra determinazione: semplicemente, vogliamo quella cima.
Perché è questo che fa la natura quando l’affronti con rispetto, è il tuo ostacolo, ma al contempo, anche il tuo incentivo più grande.


Il percorso è subito vertiginoso, impervio e duro. 



Ma siamo preparati e sicuramente conoscere già la montagna è fondamentale per la condizione mentale e la riuscita della salita. 


Per quanto te lo descrivano, l’effetto da “prima volta sul Monte Serra” ha quasi dello scioccante, ma anche questa volta la bellezza del posto, del panorama e dell’esperienza toglie il fiato.
Col benestare della prima vetta del Serra, che ci regala uno scenario incredibile a 360°. 



Scendiamo dalla cresta per raggiungere l'Etra.



Le gambe sono calde e dure come blocchi di marmo, ma l’entusiasmo ha il suo ruolo fondamentale per affrontare il tracciato. Se c’è davvero qualcosa che gioca a nostro sfavore, e non poco, è il caldo: il sole rovente ti cuoce le spalle. Tuttavia, l’aria che si respira è rigenerante e la visuale di quel che ci aspetta spinge a proseguire. 
E’ qui che vogliamo essere. O meglio, là, dove è rivolto il nostro sguardo, ma con la capacità di saper vivere il momento, godendoci ogni passo e poi un altro e un altro ancora… Sì, insomma. Perché le mete si conquistano con le azioni che fai nel presente, e niente come il trail running sembra ricordartelo meglio.





Al monte Etra le cose cominciano a farsi serie. La scalata è impegnativa, non traumatica e immediata come la precedente, ma lunga e faticosa. O almeno, questo è ciò che sembra affrontandola dopo ventidue chilometri. Saliamo aiutandoci con le mani, aggrappandoci alle rocce più salde, issandoci e spingendo con energia, trovando in ogni appoggio l’incentivo per raggiungere quello successivo. Si soffre, certo, ma il mantra che ci ripetiamo annaspando verso l’alto, ci aiuta a svuotare la mente da ogni titubanza e farci sentire tutt’uno con la montagna.



Ma se, come si dice, per ogni salita che affronti c’è una discesa, dall’altra parte, in questo caso, la prospettiva non fa di certo tirare un sospiro di sollievo. Si tratta di qualcosa niente affatto facile. Il crinale non solo è ripido, ma il fondo è un tranello frastagliato di sassi mobili e rocce di taglio. I più forti, esperti (e pazzi), aggrediscono la cresta al limite del pericolo saltando coraggiosamente da un appoggio libero all’altro, mentre altri, preferendo non rischiare, si trovano costretti a scendere quasi gattonando a pancia in su nei tratti più ardui. Sembra davvero non finire mai. L’equilibrio è continuamente precario, su quegli appoggi insicuri le caviglie s’indeboliscono e i muscoli delle coscie sembrano esploderti da un momento all’altro, tanto che al termine, i quadricipiti ci sussultano sottopelle. 



Ma non è finita. Per fortuna il tratto di bosco dove entriamo ci tiene al riparo dalla calura e il sentiero è piacevolmente corribile. Non sembra neanche vero e anche se la stanchezza comincia a farsi sentire seriamente, le gambe vanno come se non aspettassero altro.



Abbandoniamo la selva e proseguiamo in pianura sul fondo sbrecciato della via romana cercando, per quanto possibile, l’ombra che il sole perpendicolare dell’ora di pranzo ha ridotto a una sottile linea lungo un lato della strada. Non bisogna mollare. Non puoi fare a meno di ripetertelo perché è una lotta tra il tuo corpo, la tua mente e le riserve di energia. Un passo alla volta. Un passo alla volta. Ed è così che riusciamo a guadagnare terreno verso la via del ritorno. Gli ultimi cinque chilometri sembrano i peggiori. Prima di percorrerli entrando nel bosco ai piedi della montagna, vediamo la strada asfaltata appena sopra il paese di Celano, e nonostante il terreno sia uno spasso con il single track che si snoda sotto la vegetazione, la sensazione di essere quasi alla fine destabilizza a confronto con la distanza che ancora ci separa realmente dall’arrivo. Quegli ultimi cinque chilometri sembrano davvero infiniti e la motivazione che ci siamo ripetuti fino a quel momento cede il passo allo sconforto. E’ durissima, ma quando si cominciano a sentire le voci dagli altoparlanti del traguardo, laddove pensavi che nel serbatoio fosse finita anche la riserva, trovi qualcosa che credevi aver esaurito. E non sai neanche come chiamarla, se energia, benzina, forza di volontà, disperazione o follia, tuttavia, ricominci a correre più forte, le gambe mulinano nonostante sembrino pesanti come macigni ed ecco che inaspettatamente negli ultimi metri i passi sono addirittura veloci. E ti ritrovi ad allargare le braccia, felice ed emozionato, come quando corri incontro a qualcuno che ami.

Testo: Beniamino Cavalli


Nessun commento:

Posta un commento