Lassù dove volano i grifoni.
Voltaire diceva: "Se abbiamo bisogno di leggende, che queste leggende abbiano almeno l'emblema della verità! Mi piacciono le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, odio quelle degli impostori!".
Si parla spesso di trail famosi per la loro difficoltà, di
gare ai limiti dell’impossibile, di sfide organizzate per gli eroi. E’ così che
si creano le leggende. A volte per un’aurea particolare, altre perché meritate,
alcune costruite maliziosamente per attirare l’attenzione, altre ancora che non
sono all’altezza delle aspettative o non lo sono più come un tempo.
Il trail a Celano, però, è qualcosa di diverso. Nato nel 2010 con una gara di 30 km, si è passati ai 43 km del 2012, fino a diventare l’ultra trail di 64 km con dislivello positivo di 4000 metri di questa quinta edizione 2014. Ogni anno un percorso diverso, ogni anno più difficile, ogni anno un qualcosa in più. Per creare una sfida sempre più dura per gli atleti, verrebbe da dire. Ma non è così. Non solo, almeno. Non si tratta di una questione di numeri sempre più alti per allettare i più forti, i più impavidi, i più pazzi. C’è qualcosa altro. E quel qualcosa lo si capisce mentre si corre: la bellezza della natura è direttamente proporzionale alla sua spietatezza. Una cosa che sanno bene i trailrunners. Lo sanno bene i partecipanti di questa gara che fina dalla prima edizione non riescono più a fare a meno di tornare ogni anno per rivederne luoghi e scoprirne di nuovi (perché le risorse di questa zona sono incredibili). E lo sanno ancora meglio gli organizzatori della Celano Ultratrail che amano questo posto e che con questo assunto hanno creato quello che in molti, all’arrivo, hanno definito “L’ultratrail più cattivo d’Italia”. Quindi potete immaginare.
Ma andiamo per ordine.
Le condizioni meteorologiche sono un’incognita. Se ne parla
da settimane. E arrivati al momento della punzonatura si dice che comincerà a
piovere da mezzogiorno per tutto il pomeriggio. Beh, guardiamo il lato
positivo, partendo alle cinque del mattino abbiamo almeno sette ore di gara
all’asciutto. Quel che accadrà dopo, lo affronteremo strada facendo. Un passo
alla volta.
Si parte dal castello di Celano e come ogni anno si comincia
alla grande in tutti i sensi, percorrendo i primi 1100 metri di quota in sette
chilometri di salita per raggiungere la vetta del monte Serra a 1943 mt.
Un’arrampicata vertiginosa che è ormai un classico marchio di fabbrica di
questa competizione e ti mostra fin da subito quel rapporto diretto tra bellezza
e durezza: quel che abbiamo intorno è stupefacente, ma non ci si può distrarre,
bisogna mettere tutto noi stessi per riuscirlo ad affrontare. Un coinvolgimento
totale, esclusivo, estraniante e liberatorio.
Sulla cima si prende fiato, ci si gode la magnificenza del panorama
a 360° da togliere il fiato e si riparte correndo in cresta.
E per ogni cima raggiunta c’è sempre dietro una discesa… e
poi un’altra salita. Lasciamo andare le gambe sul prato verdissimo verso
Ovindoli tornando a 1350 mt di quota per poi ricominciare a salire tornando a
toccare i 1850 mt al trentesimo chilometro.
Da qui, la vera novità di quest’anno: scendiamo verso il
letto del torrente “Le Foci” per arrivare alle famose Gole di Celano.
Uno scenario davvero suggestivo dove, tra le pareti rocciose del canalone, sembra di correre inghiottiti dalla montagna. Ma bisogna fare attenzione: il fondo di rocce levigate e scivolose costringono a rallentare e a mantenere alta la soglia dell’attenzione per non cadere.
Uno scenario davvero suggestivo dove, tra le pareti rocciose del canalone, sembra di correre inghiottiti dalla montagna. Ma bisogna fare attenzione: il fondo di rocce levigate e scivolose costringono a rallentare e a mantenere alta la soglia dell’attenzione per non cadere.
Il meteo ci ha azzeccato. A mezzogiorno, ricominciamo a
risalire verso la Val d’Arano attraverso il ripido sentiero nel bosco che ci
ripara a stento da una pioggia battente. Siamo al 38° chilometro e pensare di
affrontare la corsa con queste condizioni meteorologiche è fisicamente e mentalmente
provante. L’idea di non riuscire a portare a termine la gara è un pensiero che
va scrollato di dosso con un colpo di testa insieme alla pioggia. Del resto, è nelle
condizioni peggiori che si trova la sfida e il mantra da ripetersi è che non
vorremmo essere in nessun altro posto se non in questo. L’abbiamo
voluto noi, quindi stingiamo i denti e proseguiamo.
La tenacia, a volte, premia gli impavidi e usciti dal bosco,
quando abbiamo quarantaquattro chilometri nelle gambe, la pioggia ci dà un po’
di tregua proprio all’inizio della durissima salita che si inerpica fino alla
cima del Monte Etra sulla quale possiamo arrampicarci col benestare del tempo.
Una concessione che ci fa sentire fortunati, dato che la scalata è davvero impegnativa e sembra non finire mai. Alziamo gli occhi al cielo e lassù, sopra la vetta vediamo i grifoni volteggiare come se ci stessero aspettando. Una sensazione incredibile e surreale che ci dà la forza per aggrapparci con tenacia alle rocce ruvide, ma decorate da splendidi fiori viola e gialli che sembrano confermare ancora una volta il senso assoluto della natura: bellezza e durezza.
Una concessione che ci fa sentire fortunati, dato che la scalata è davvero impegnativa e sembra non finire mai. Alziamo gli occhi al cielo e lassù, sopra la vetta vediamo i grifoni volteggiare come se ci stessero aspettando. Una sensazione incredibile e surreale che ci dà la forza per aggrapparci con tenacia alle rocce ruvide, ma decorate da splendidi fiori viola e gialli che sembrano confermare ancora una volta il senso assoluto della natura: bellezza e durezza.
Arrivati sulla cima, a 1818 mt di altitudine, percorriamo la
cresta con lo strapiombo alla nostra sinistra che dà le vertigini, fino ad arrivare
ai prati di Popoli.
Ricominciamo a scendere raggiungendo il fondovalle con la pioggia che ricomincia a farsi sentire come un compagna di corsa che ci ha ripreso e con la quale è inevitabile condividere un tratto di strada. Stringiamo i denti e speriamo che si stanchi presto.
Ricominciamo a scendere raggiungendo il fondovalle con la pioggia che ricomincia a farsi sentire come un compagna di corsa che ci ha ripreso e con la quale è inevitabile condividere un tratto di strada. Stringiamo i denti e speriamo che si stanchi presto.
Torniamo verso il monte Serra correndo la strada sotto la sua
cresta. Le nubi si diradano. Sulla via del ritorno la pioggia ha reso diversi
punti tanto fangosi da non riuscire a correre. La malta si attacca alla suola
delle scarpe che affondano e si appesantiscono, mentre i tratti in discesa sono
diventati pericolosamente scivolosi.
Gli ultimi cinque chilometri sono un divertente single track
di saliscendi in mezzo al bosco che sembra premiare le nostre fatiche.
Un’impresa che ha dell’epico. E che solo chi ama incondizionatamente
questi luoghi era in grado di concepire. E a pensarci bene, coinvolto da
quell’accoglienza, ripensando al percorso perfettamente segnalato,
all’assistenza puntuale, alle parole di conforto e incitamento ai ristori, beh,
l’impresa l’hanno fatta loro: chi l’ha sognata, progettata e realizzata con
passione. Una passione per l’incredibile patrimonio naturale impervio e
bellissimo che offre questo luogo e che con questo spietato trail, i mountain
runners hanno l’opportunità e il privilegio di confrontarsi.
Spesso una leggenda prende vita proprio nelle storie che le
persone si raccontano a vicenda. Ma non c’è
bisogno di rendere leggendario qualcosa come questo. Perché qui non c’è bisogno
della fantasia per mitizzare questa gara. Tra le corse in montagna, per quanto
giovane sia, quella di Celano, mitica lo è già diventata ormai, a detta dei
suoi partecipanti e dei concorrenti più forti, come l’ultratrail più cattivo
d’Italia.
di Beniamino Cavalli
di Beniamino Cavalli